I fatti del 29 marzo 1919 a Venezia
Ore 07.50 – il piroscafo San Spiridione, nave mercantile requisita, dalla Regia Marina e del Regio Esercito, per gli scopi del post guerra lascia l’ormeggio presso la banchina di Santa Marta e inizia la navigazione nel Canale di San Basilio dirigendo verso Pola. Poi, verosimilmente andrà a Fiume. A bordo, oltre al suo equipaggio, c’è ancora il pilota di porto. In coperta ci sono duecento uomini, soldati e marinai, tra i quali 21 arditi di Marina al comando di un capitano del Regio Esercito. In stiva, la sola parte del carico ufficialmente nota è costituita da benzina in latte metalliche e olio per motori in fusti.
Ore 07.55 – oltrepassato di poco il fabbricato dei frigoriferi, 60 metri fuori dalla banchina di San Basegio, una tremenda esplosione fa saltare castello, plancia e ponte prodiero del piroscafo; in carena si apre una grande falla che lo fa affondare di prua lasciando emersa la poppa e scoperto l’asse dell’elica e il timone. Anche alcuni edifici sono colpiti e danneggiati gravemente. Nell’immediatezza dell’esplosione muoiono la maggior parte del personale imbarcato e anche qualche cittadino veneziano colpito dai rottami scagliati a terra.
Il numero delle vittime continua a salire con il propagarsi dell’incendio sulla superfice dell’acqua, ormai ricoperta di combustibile in mezzo al quale nuotano, cercando invano di salvarsi, coloro che trovandosi a poppa provano a saltare o sono stati involontariamente catapultati fuori bordo.
Iniziano le faticose operazioni di soccorso.
Ore 16.20 – la nave affonda.
I morti poi accertati saranno 200.
È il più grave disastro mai accaduto in un porto italiano in tutti i tempi.